
Adempimento contrattuale e arricchimento senza causa: la domanda può mutare?
Cassazione civile, SS.UU., sentenza 13/09/2018 n° 22404
Il caso di specie
L’attore, che aveva spiegato originariamente domanda di adempimento contrattuale nei confronti di una pubblica amministrazione, all’esito dell’eccezione di nullità del contratto sollevata dal convenuto, in sede di memoria ex art. 183 VI comma c.p.c. comma 6, n. 1), l’attore proponeva in via subordinata, domanda di indennizzo per arricchimento senza causa.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale.
Veniva interposto appello; la Corte riformava la sentenza dichiarando la nullità del contratto e l’inammissibilità della domanda di indennizzo per arricchimento senza causa, qualificandola come domanda nuova e perciò non proponibile per la prima volta con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1).
La parte soccombente ricorreva in Cassazione, deducendo la validità del contratto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e art. 183 c.p.c. (e quindi la tempestività della proposizione della domanda di arricchimento).
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite ribadivano l’infondatezza del primo motivo di ricorso ritenendo nulli gli originari contratti.
Con riferimento al secondo motivo, la corte evidenziava di essersi più volte pronunciata sulla questione se la proposizione della domanda di azione di arricchimento costituisca, ove formulata dopo che sia stata proposta azione di adempimento contrattuale, emendatio o mutatio libelli e se e in che termini la proposizione di una tale domanda incorra nelle preclusioni previste dal codice di rito, ritenendola una nuova domanda, rispetto alla domanda di adempimento contrattuale.
Infatti, dette domande non sono intercambiabili e non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, riguardando entrambe diritti cosiddetti “eterodeterminati” (per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro ed identificano due distinte entità); ne consegue che ove oggetto della domanda sia un bene giuridico diverso (indennizzo / corrispettivo pattuito).
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, sul tema si erano formati due diversi orientamenti: il primo, minoritario, che valorizzava la natura del procedimento in cui la domanda è inserita, ovvero quello di opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., il quale sarebbe stato proprio finalizzato ad esaminare la fondatezza della domanda del creditore; in base, quindi, a tutti gli elementi offerti dallo stesso, e contrastati dall’ingiunto (Cass. 23.6.2009 n. 14646); il secondo – maggiormente seguito – che sottolineava, non tanto il tipo di procedimento adottato, quanto il fatto che nel giudizio siano già presenti tutti gli elementi costitutivi dell’azione di indebito arricchimento, considerata, quindi, come una diversa qualificazione dei fatti già introdotti.
Sul punto, con sentenza 27/12/2010, n. 26128, le Sezioni Unite hanno affermato il principio così massimato: “Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo). Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645, comma 2, e, dunque, anche l’art. 183 c.p.c., comma 5, è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice”.
Con la sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto sulla questione relativa alla modificabilità, con la memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 5 (nella formulazione ratione temporis applicabile), della domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo).
La sentenza ha ribadito il monolitico principio per cui in sede di memoria 183 V comma sia ammissibile una emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi né sul petitum, mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, situazioni che per devono essere valutate caso per caso.
Tuttavia in questo quadro non dobbiamo dimenticare che questa regola presenta un’eccezione che troviamo oggi nell’art. 183 V comma c.p.c. risultano specificamente ammesse per l’attore le domande e le eccezioni “che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”. Tant’è che la citata sentenza affermava questo principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.
Alla luce di quanto dedotto dalle sezioni unite tra le richiamate sentenze (Sezioni Unite n. 26128/10 e n. 26168/2015) non sussiste pertanto un reale contrasto, si arriva al medesimo risultato muovendo da diverse motivazioni.
Tuttavia riteneva il Collegio che di dover dare continuità all’indirizzo indicato con sentenza 26168/2015, che, superando in senso evolutivo il precedente criterio della differenziazione di petitum e causa petendi su cui si basava il precedente orientamento cui pure si è fatto riferimento, sposta l’attenzione dell’interprete dall’ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di più ampio respiro, volta alla verifica che entrambe tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice e rispetto alla quale la domanda modificata sia più confacente all’interesse della parte.
Quindi ai fini della risoluzione della controversia, occorre pertanto, verificare se, come pure evidenziato dal Collegio rimettente, la domanda di arricchimento senza causa, come proposta nel giudizio all’esame con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, sia riconducibile alla nozione di “domanda modificata” ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015.
Nella specie, entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) si riferivano alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
Pertanto la Cassazione, ritenendo fondato il secondo motivo accoglieva il ricorso, rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello.