
Onorevoli definiti ”fannulloni” da un giornale: è esercizio del diritto di critica
Un settimanale definisce “fannulloni” gli onorevoli italiani al Parlamento europeo indicando i dati da cui emerge che sono “i più assenti e meno produttivi”, pur essendo i meglio remunerati.
Dichiarazioni diffamatorie o rientranti nell’esercizio del diritto di critica?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 26 aprile 2022, n. 12984 (testo in calce), ritiene che, nel caso di specie, operi l’esimente del diritto di critica, in quanto ricorrono i requisiti della pertinenza della notizia al pubblico interesse, della continenza delle espressioni usate e, a monte, della verità dei fatti riferiti.
In particolare, secondo i giudici di legittimità, l’epiteto utilizzato nel titolo del settimanale non eccede i limiti della continenza verbale, atteso che si limita a riassumere una valutazione negativa sullo scarso impegno degli onorevoli nell’attività parlamentare. Inoltre, in materia di responsabilità civile per diffamazione, secondo la giurisprudenza di legittimità, affinché possa operare la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, è necessario che “il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive”.
La vicenda
Un noto settimanale definiva gli onorevoli italiani al Parlamento UE come “eurofannulloni” e, nel sottotitolo, riportava che i parlamentari di casa nostra erano “i più assenti e meno produttivi”; infine, sulla copertina, era raffigurato un noto esponente politico insieme ad altri deputati. Il politico in questione agiva in giudizio contro la società editrice del settimanale e contro il direttore responsabile del giornale al fine di ottenere il risarcimento del danno per il contenuto asseritamente diffamatorio della copertina. In primo grado, il tribunale accoglieva la domanda dell’attore, condannava i convenuti al pagamento di 60 mila euro e disponeva la pubblicazione dell’estratto della sentenza su alcuni quotidiani.
La Corte d’Appello, invece, riformava la sentenza, rigettava la pretesa del politico e lo condannava alla restituzione degli importi ricevuti, oltre al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio. Secondo i giudici, il titolo del settimanale, il sottotitolo e la fotografia rappresentavano la sintesi di una critica politica al comportamento dei parlamenti italiani eletti al Parlamento europeo. Infatti, alla luce dei dati acquisiti, gli onorevoli del nostro Paese risultavano i meno presenti e i meno propositivi, nonostante siano i meglio remunerati. Inoltre, emergeva che molti di loro abbandonavano il seggio prima della scadenza del mandato, denotando in tal guisa poca considerazione per l’incarico ricevuto dagli elettori. I giudici del gravame riconoscevano che la critica fosse rivolta segnatamente nei confronti dell’onorevole ritratto in copertina, ma ne escludevano la portata diffamatoria.
Come vedremo, la decisione impugnata viene confermata anche in Cassazione.
L’epiteto “fannullone” non travalica il limite della continenza
La sentenza gravata sottolinea come l’espressione “fannullone”, dal punto di vista letterale, significhi “non aver voglia di far nulla”, pertanto, essa non supera il limite della continenza verbale. Inoltre, la notizia è pertinente all’interesse dell’opinione pubblica “alla conoscenza non tanto del fatto oggetto di critica, ma di quell’interpretazione del fatto”. I lettori hanno interesse a conoscere la valutazione relativa all’operato dell’onorevole nel suo ruolo di parlamentare europeo.
La Corte d’appello prosegue sottolineando come la critica operata nei confronti del deputato riguardi la percentuale delle presenze e la sua partecipazione effettiva all’attività svolta dal Parlamento UE. A tal riguardo, era emerso che durante i 18 mesi di mandato, in cui non ricopriva altri incarichi istituzionali, egli aveva effettuato solo quattro interventi e non aveva presentato nessuna relazione. Inoltre, in merito alla critica sulla scarsa considerazione dell’incarico conferito dagli elettori, i convenuti hanno dimostrato la veridicità del fatto posto a fondamento di tale affermazione. L’onorevole, infatti, aveva rinunciato all’incarico a favore di un altro eletto e successivamente, dopo che non era stato rieletto senatore, aveva revocato la rinuncia, manifestando la volontà di subentrare ad un altro rinunciante; in tale contesto, aveva aperto un contenzioso con un altro candidato, all’esito del quale era stata annullata la sua proclamazione a componente del Parlamento europeo.
In conclusione, secondo la Corte d’Appello, sussiste “l’esimente del diritto di critica, poiché i fatti costituenti il presupposto e l’oggetto della critica, che ha necessariamente carattere soggettivo rispetto ai fatti stessi, corrispond(ono) a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa”.
Il fatto presupposto della critica deve corrispondere a verità
La Suprema Corte ritiene che il giudice del gravame abbia correttamente inquadrato l’attività giornalistica all’interno della critica politica. Com’è noto, tale forma di critica è caratterizzata da un linguaggio più incisivo e pungente rispetto al diritto di cronaca, inoltre, il diritto di critica può consistere in valutazioni soggettive dei temi trattati. L’esercizio del diritto di critica rappresenta un’esimente (articolo 51 codice penale), si tratta di una causa di giustificazione, vale a dire una situazione in presenza della quale un fatto che altrimenti costituirebbe reato – in questo caso, diffamazione – non è tale perché la legge lo impone o lo consente. La scriminante in parola opera entro dei limiti:
- la pertinenza della notizia al pubblico interesse,
- la continenza delle espressioni usate,
- e, a monte, la verità dei fatti riferiti.
In materia di responsabilità civile per diffamazione, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 25420/2017) ha affermato che il diritto di critica si sostanzia nell’esprimere un giudizio soggettivo rispetto ai fatti e non nella mera narrazione degli stessi. Tuttavia, affinché possa operare la scriminante dell’esercizio di tale diritto, è necessario che “il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive”.
Per completezza espositiva, si ricorda che la giurisprudenza della Corte EDU in subiecta materia è solita operare un distinguo tra le dichiarazioni relative a fatti – da una parte – e le dichiarazioni che contengano un giudizio di valore – dall’altra. Il giudizio di valore deve sempre contenere un nucleo fattuale che sia veritiero e che sia oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, “versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva eccessiva, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali” (Cass., Sez. V, 7340/2019).
Conclusioni: opera l’esimente del diritto di critica
La Suprema Corte rigetta il ricorso dell’onorevole, conferma la sentenza gravata e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite. Secondo gli ermellini, nel caso di specie, opera la scriminante dell’esercizio del diritto di critica. Infatti, l’argomento è pertinente con l’interesse pubblico, dal momento che rientra nell’interesse sociale il tema dell’impegno profuso dagli europarlamentari italiani, con riguardo a figure che godono di particolare notorietà nel settore politico (come quella del ricorrente). Inoltre, l’espressione impiegata nel titolo del giornale (ossia “fannulloni”) non eccede i limiti della continenza, atteso che “sintetizza un giudizio negativo di scarso impegno nell’attività parlamentare, senza trasmodare in epiteti gratuitamente offensivi”.
In particolare, secondo la Corte, l’epiteto contestato dal ricorrente è stato usato:
- “sul rilievo di una presenza comunque inferiore alla media degli Europarlamentari degli altri paesi e sulla considerazione della ridotta produttività in punto di interventi (quattro in diciotto mesi) e di relazioni (nessuna): si tratta, all’evidenza, di elementi che, seppure non univocamente sintomatici di uno scarso impegno, si prestano tuttavia ad essere valutati in tali termini e possono giustificare una critica, da parte del giornalista”.
Infine, la circostanza che il giornale facesse riferimento al fatto che i parlamentari si dessero alla fuga verso incarichi economicamente più vantaggiosi, così sottraendosi alle proprie prerogative parlamentari, rientra nel diritto di critica politica. L’articolo del settimanale non attribuiva espressamente al ricorrente nessuna “fuga anticipata”, ma illustrava la complessa vicenda che lo aveva visto “dapprima, rinunciare al seggio e, poi, insistere per la sua attribuzione, instaurando un complesso contenzioso all’esito del quale era rimasto soccombente”.
CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 12984/2022 >> SCARICA IL PDF
fonte altalex.com