
Danno da mancato consenso informato: risponde anche l’aiuto chirurgo
Omessa acquisizione del consenso informato del paziente: la responsabilità risarcitoria per la mancata informazione non riguarda solo il capo dell’equipe medicache ha eseguito l’intervento, ma anche l’aiuto-chirurgo che ha consigliato l’operazione chirurgica.
E’ quanto precisato dalla Cassazione, Sezione III civile, nella sentenza n. 26728 del 24 ottobre 2018.
Nel caso in esame, un uomo aveva convenuto in giudizio due medici e l’Azienda Ospedaliera presso cui era stato in cura, al fine di ottenere risarcimento dei danni permanenti subiti in seguito all’intervento chirurgico cui si era sottoposto, senza esser stato previamente informato in relazione ai rischi cui sarebbe potuto andare in contro.
La moglie dell’attore, interveniva nel giudizio per chiedere in proprio la condanna dei convenuti al risarcimento del danno derivato alla propria sfera sessuale in qualità di coniuge, oltre al danno morale derivato, di riflesso, dal fatto illecito del terzo responsabile.
Il Tribunale accertava la responsabilità contrattuale dell’Azienda Ospedaliera e dell’urologo solo con riferimento all’omesso consenso informato e li condannava in solido a risarcire al solo attore i danni da mancata acquisizione del consenso informato.
Avverso la citata sentenza, i coniugi proponevano appello innanzi alla competente Corte territoriale che, rigettato l’appello principale, accoglieva quello incidentale del medico chirurgo, riformando in parte la sentenza di primo grado.
Pertanto, gli attori ricorrevano per Cassazione.
Nella vicenda in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su un caso sui generis, ovvero sulla responsabilità derivante dalla condotta omissiva dell’aiuto chirurgo che aveva consigliato l’intervento al paziente, senza informare preventivamente quest’ultimo dei rischi e delle possibili conseguenze che tale operazione chirurgica avrebbe potuto comportare. I giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso, ritenendo contraddittoria la sentenza impugnata; con riferimento all’omissione dell’obbligo di informazione che grava sul medico, hanno enunciato il principio di diritto, secondo cui: “in tema di consenso medico informato riguardo all’esecuzione di un intervento operatorio, qualora risulti, come nella specie, che esso è stato eseguito da un sanitario come capo dell’equipe medico – chirurgica, ma che altro sanitario, che abbia partecipato all’operazione in qualità di aiuto- chirurgo, sia stato quello che ha consigliato al paziente l’esecuzione dell’intervento, erroneamente la sentenza di merito, avendo accertato il difetto del consenso informato, riferisce la responsabilità al solo capo dell’equipe medica, ancorchè egli abbia eseguito l’intervento, e non anche all’aiuto-chirurgo, giacchè costui, nell’eseguire la propria prestazione con il consigliare l’intervento, deve reputarsi anch’egli responsabile di non avere assicurato l’informazione dovuta”.
Altro aspetto esaminato dalla Suprema Corte, è quello attinente al danno subito in via diretta e/o riflessa dalla coniuge del paziente, su cui giudici di merito hanno omesso di pronunciarsi. In particolare, il giudice di primo grado, aveva considerato che il danno arrecato all’attore era costituito dall’inosservanza dell’obbligo di rendere effettivo il c.d. consenso informato, condotta che solo indirettamente potrebbe essere individuata come causa del pregiudizio lamentato dalla coniuge, e pertanto idonea a legittimare un risarcimento, mentre la Corte d’appello ha trascurato del tutto la censura mossa dai ricorrenti.
A tal riguardo, la Cassazione ha chiarito che la condotta omissiva che incide sulla sfera sessuale di un individuo, proietta i suoi effetti, in via immediata e riflessa, nella relazione di coppia, incidendo direttamente anche sul coniuge, egualmente privato di un aspetto importante e caratterizzante del rapporto di coppia, collegato ai diritti e obblighi sanciti nell’art. 142 c.c., comma 2.
Pertanto, l’omesso consenso informato da parte del personale medico ha inciso sulla sfera sessuale della coppia di coniugi in sè considerata, e non solo su quella del paziente.
In relazione a ciò, la Suprema Corte ha affermato che:”in tema di consenso informato, qualora risulti accertata, con riferimento alla sottoposizione di un coniuge ad un intervento, una situazione peggiorativa della salute incidente nella sfera sessuale, rientrante nel rischio dell’intervento, e peggiorativa della condizione del medesimo, sebbene non imputabile a cattiva esecuzione dello stesso, il coniuge che risente in via immediata e riflessa del danno, incidente nella sfera sessuale e relazionale della vita di coppia, collegato a detto peggioramento, ha diritto al risarcimento del danno, in quanto tale danno è conseguenza della condotta di violazione della regola del consenso informato in danno del coniuge, nei limiti di come è stato rilevato nei suoi confronti”.
Per tali ragioni, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale, che sarà tenuta a pronunciarsi alla luce del suddetto principio di diritto.
LA SENTENZA
Cassazione Civile
sez. III
Sentenza 23/10/2018, n. 26728
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8646-2016 proposto da:
B.A., (OMISSIS), G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO CECCHELLA giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
e contro
M.G., M., AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), (OMISSIS), GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1669/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso;
udito l’Avvocato CLAUDIO CECCHELLA.
SVOLGIMENTO IN FATTO
1. Con atto di citazione, B.A. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Pisa, il dott. B.F.C. (andrologo), il dott. M.G. (urologo medico-chirurgo), l’Università degli Studi di (OMISSIS), dove il primo prestava attività di ricerca, e l’Azienda ospedaliera (OMISSIS), dove il secondo prestava attività chirurgica e di assistenza, per accertarne la responsabilità contrattuale per non aver adempiuto agli obblighi derivanti dall’esercizio della professione medico-sanitaria nei confronti del cliente-paziente, o extracontrattuale, ai sensi dell’art 2043 c.c., per i danni causati per inadempimento o fatto illecito comunque imputabili a negligenza ed imperizia propria o dei propri dirigenti e dipendenti, nell’esercizio della professione medico-sanitaria, nonchè per condannarli al risarcimento dei danni subiti per la carenza di prestazione di consenso informato in relazione ai rischi di un intervento di fallo-plastica additiva, poi in concreto verificatisi con conseguenze permanenti valutate nella misura del 25% di danno biologico permanente, in considerazione della definitiva “impotentia coeundi”. G.M., moglie dell’attore, interveniva nel giudizio per chiedere in proprio la condanna delle parti convenute al risarcimento del danno derivato alla propria sfera sessuale in qualità di coniuge, oltre al danno morale derivato, come effetto riflesso, dal fatto illecito del terzo responsabile. Si costituivano in giudizio i convenuti, nonché, su richiesta di M.G., la Compagnia Assitalia che assicurava l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e la Lloyd Adriatico s.p.a., compagnia con polizza di secondo rischio. Il Tribunale di (OMISSIS) decideva con sentenza n. 1072/2008, depositata in data 13/9/2008, accertava la responsabilità contrattuale dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e dell’urologo M.G. solo con riferimento all’omesso consenso informato e li condannava in solido a risarcire al solo attore i danni non già derivatigli a seguito dell’intervento, eseguito secondo le tecniche dell’arte, bensì collegati alla mancata acquisizione del consenso informato, quantificati in Euro 10.000,00 a favore del solo paziente; rigettava la domanda dell’attore nei confronti dell’andrologo B.F.C. e dell’Università degli Studi di (OMISSIS); infine, rigettava la domanda della terza intervenuta G.M., stante la ratio della responsabilità da omesso consenso informato, coinvolgente diritti esclusivamente personali afferenti al coniuge che si è sottoposto all’intervento chirurgico.
2. Avverso la citata sentenza, B.A. e G.M. proponevano appello innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, contestando il mancato riconoscimento dell’obbligo di ottenere il consenso informato anche a carico del secondo medico, B.F.C. (andrologo), nonchè l’esclusione di un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo di informare il paziente ed il danno in concreto subito, pari al danno biologico accertato, sostenendo che la scelta di non sottoporsi all’intervento sarebbe conseguita ove il paziente fosse stato correttamente informato sulle possibili gravi conseguenze dell’intervento in ordine alla propria sfera sessuale, poi verificatesi. Si costituivano le parti convenute e le terze chiamate; M.G. proponeva, inoltre, appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza nella parte in cui addebitava allo stesso la mancata acquisizione del consenso informato, dovendosi ascrivere tale obbligo alla responsabilità del solo primo operatore in occasione dell’intervento chirurgico, prof. Mi.Ri., non citato in giudizio.
3. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1669/2015, depositata il 30/9/2015, rigettava l’appello principale degli attori ed accoglieva l’appello incidentale del medico chirurgo, riformando in parte qua la sentenza di primo grado. Per quanto qui interessa, la Corte d’Appello individuava la responsabilità della mancata prestazione di consenso nel primo operatore, non citato in giudizio, sull’assunto che spettasse solo a quest’ultimo fornire le adeguate informazioni sull’esito eventuale dell’intervento, in particolare sostenendo che “non appare sufficiente correlare il dovere di informare sulle conseguenze di un intervento che si consiglia o si raccomanda, a persona diversa da colui che tale intervento oggettivamente effettua e dei cui effetti si presume sia oggettivamente informato”. Pertanto, accoglieva l’appello incidentale di M.G. e riformava parzialmente la sentenza di primo grado.
4. Avverso la sentenza n. 1669/2015 depositata il 30/9/2015, G.M. e B.A. proponevano ricorso per Cassazione con atto notificato in data 4-5/4/2016, deducendo quattro motivi di ricorso. Il Pubblico Ministero concludeva per l’accoglimento dei primi due motivi. I ricorrenti producevano memoria.
RAGIONI E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 32 Cost., comma 2 e art. 13 Cost., della L. n. 833 del 1987, art. 33 e degli artt. 1176, 1218, 1223, 1226, 1228, 2043 e 2056 c.c., per avere la sentenza escluso la responsabilità del medico chirurgo per l’omessa acquisizione del consenso informato del paziente, in quanto non “primo operatore” ma “aiuto” nell’ èquipe medica che sottopose ad intervento chirurgico il ricorrente. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti deducono l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, laddove la corte d’Appello di Firenze ha esaminato gli obblighi concernenti il consenso informato del paziente a carico del medico-chirurgo, esclusivamente in relazione alla sua attività nell’ambito dell’intervento chirurgico, ma non ha esaminato l’attività preliminare in occasione della quale, in concomitanza con l’attività professionale prestata dal dott. B.F.C., andrologo, sulla base di fatti inconfutabili ha in più occasioni invitato il sig. B.A. a sottoporsi all’intervento chirurgico, dando fermo parere professionale in tale direzione.
2. Scrutinando primo e secondo motivo congiuntamente si rileva quanto segue in ordine di priorità logica.
2.1. Il caso posto all’attenzione della Corte è certamente sui generis, in quanto il medico che ha partecipato alla scelta del paziente in fase preintervento ha preso parte dell’equipe medica che ha operato il paziente.
2.2. La Corte rileva pertanto che non occorre in questa sede affrontare il tema della responsabilità nell’ambito di un’equipe medica, risultando che la sentenza sia gravemente contraddittoria nel trascurare quello di cui essa stessa ha dato atto, vale a dire le risultanze dei documenti considerati in chiusura di pagina 5 della motivazione. Da esse si evince, infatti, che il medico curante qui resistente consigliò l’intervento, e dunque emerge che il rapporto curativo si indirizzò verso l’operazione per una condotta sua propria.
2.3. Sicchè è pacifico che sia mancata la prestazione del consenso informato anche da parte del medico curante che ha partecipato all’intervento chirurgico e, pertanto, in relazione a una omissione di un obbligo di informazione che grava sul medico, occorre affermare il seguente principio di diritto: “in tema di consenso medico informato riguardo all’esecuzione di un intervento operatorio, qualora risulti, come nella specie, che esso è stato eseguito da un sanitario come capo dell’equipe medico – chirurgica, ma che altro sanitario, che abbia partecipato all’operazione in qualità di aiuto- chirurgo, sia stato quello che ha consigliato al paziente l’esecuzione dell’intervento, erroneamente la sentenza di merito, avendo accertato il difetto del consenso informato, riferisce la responsabilità al solo capo dell’equipe medica, ancorché egli abbia eseguito l’intervento, e non anche all’aiuto-chirurgo, giacchè costui, nell’eseguire la propria prestazione con il consigliare l’intervento, deve reputarsi anch’egli responsabile di non avere assicurato l’informazione dovuta”.
2.4. Il secondo motivo è pertanto fondato, con assorbimento del primo motivo.
3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 342, 346 e 352 c.p.c., per non avere essa esaminato gli effetti dell’inadempimento agli obblighi relativi al consenso informato del paziente, nei confronti dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e, in caso di accoglimento dei motivi sub 1 e 2, del dott. M.G., costituendo invece espresso motivo di gravame sollevato.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. La giurisprudenza sull’art. 112 c.p.p. ha precisato che la questione omessa deve essere decisiva. Difatti, il vizio di omessa pronuncia causativo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. non si configura allorquando il giudice di merito non abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte, non concernenti, cioè, alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere; in tal caso, è integrato il diverso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella misura in cui il giudice abbia omesso la considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della “quaestio facti” in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione “in iure” della fattispecie (v. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 22799 del 29/09/2017).
3.3. La questione omessa, in tale caso, è certamente rilevante ai fini della decisione. La Corte d’appello, difatti, non ha considerato che nell’atto di citazione, nell’esposizione del secondo motivo di appello, viene riferita la mancata valutazione (nella sentenza di primo grado) degli effetti della violazione dell’obbligo di informativa, e in particolare della sua incidenza nella determinazione del nesso di causalità con l’evento occorso. Difatti i ricorrenti si lamentano del fatto che il giudice di primo grado abbia condannato l’azienda ospedaliera solo ai danni determinati in via equitativa e, senza alcuna specifica motivazione, nella misura di Euro 10.000, come in astratto collegabili alla mancata acquisizione del consenso informato, senza tener conto della circostanza che se il paziente fosse stato reso consapevole dei rischi, egli avrebbe evitato i ben più gravi danni cagionati dall’intervento chirurgico, sfociati nella disfunzione del suo apparato genitale, incidente nella sfera sessuale in termini di definitiva impotentia coeundi, semplicemente rifiutando l’intervento. Deducevano infatti che la portata dell’illecito era ben maggiore, posto che il rifiuto del paziente avrebbe potuto evitare quella lesione alla salute psicofisica che i consulenti hanno valutato nella misura del 25% del danno alla salute.
3.4. La Corte di merito, pertanto, non pronunciandosi in merito a tale questione, volta a indurre il giudice d’appello a riesaminare la intera portata lesiva dell’illecito determinato dalla mancata acquisizione del consenso informato in relazione al rischio, poi verificatosi, di un esito peggiorativo della salute del paziente, che i consulenti hanno valutato nella misura del 25%, non ha considerato che il danno “differenziale” da lesione da omesso consenso informato, in tale caso, deve essere stimato per le conseguenze lesive in effetti subite, e non semplicemente come danno da violazione del diritto di autodeterminarsi (valevole ove non sia configurabile un danno alla salute), sottraendo quindi il deficit che il paziente avrebbe comunque avuto se non si fosse sottoposto all’intervento (v. Sez. 3 -, Sentenza n. 24074 del 13/10/2017; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 16503 del 05/07/2017).
3.5. Conseguentemente, il Giudice del rinvio sarà tenuto a considerare tale domanda di nuova valutazione del danno biologico conseguente all’omesso consenso informato alla luce dei suesposti principi.
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 342, 346 e 352 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la Corte d’appello esaminato gli effetti della violazione dell’obbligo di consenso informato del paziente, anche solo nei confronti dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e, in caso di accoglimento dei motivi sub 1 e 2, del dott. M.G., quanto al danno di riflesso subito dalla sig.ra G.M., costituendo esso invece espresso motivo di gravame sollevato nel giudizio di secondo grado.
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. Anche in tale caso si rileva un’omessa pronuncia su una questione di rilievo e decisiva, in quanto la Corte avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda attinente al danno subito in via diretta e/o riflessa dalla coniuge del paziente, non ravvisato dal giudice di primo grado, su cui la Corte non si è pronunciata, non avendo considerato che la domanda in quella sede coinvolgeva quanto meno l’ente ospedaliero condannato in primo grado per lo stesso titolo. Il giudice di primo grado, infatti, ha considerato che il danno arrecato all’attore è costituito dall’inosservanza dell’obbligo di rendere effettivo il c.d. consenso informato, condotta che solo indirettamente potrebbe essere individuata come causa del pregiudizio lamentato dalla coniuge, e pertanto idonea a legittimare un risarcimento, mentre la Corte d’appello ha trascurato del tutto la censura dei ricorrenti.
4.3. In merito deve affermarsi che la condotta omissiva che incide sulla sfera sessuale di un individuo, lungi dal provocare un pregiudizio indiretto sul coniuge, è in grado di riverberare i suoi effetti, in via immediata e riflessa, nella relazione di coppia, e pertanto di incidere direttamente anche sul coniuge, egualmente privato di un aspetto importante e caratterizzante del rapporto di coppia, collegato ai diritti e obblighi sanciti nell’art. 142 c.c., comma 2 (v. in tal senso, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9801 del 10/05/2005, ove è stato sancito che lede la donna nel suo diritto alla sessualità, in sè e nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità del matrimonio, l’omessa informazione, in violazione dell’obbligo di lealtà, da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacità “coeundi” a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, che induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato).
4.4. Pertanto, relativamente alla fattispecie in esame, ove l’omesso consenso informato da parte del personale medico ha certamente inciso sulla sfera sessuale della coppia di coniugi in sè considerata, e non solo su quella del paziente, si deve affermare un nuovo principio di diritto, nel senso che: “in tema di consenso informato, qualora risulti accertata, con riferimento alla sottoposizione di un coniuge ad un intervento, una situazione peggiorativa della salute incidente nella sfera sessuale, rientrante nel rischio dell’intervento, e peggiorativa della condizione del medesimo, sebbene non imputabile a cattiva esecuzione dello stesso, il coniuge che risente in via immediata e riflessa del danno, incidente nella sfera sessuale e relazionale della vita di coppia, collegato a detto peggioramento, ha diritto al risarcimento del danno, in quanto tale danno è conseguenza della condotta di violazione della regola del consenso informato in danno del coniuge, nei limiti di come è stato rilevato nei suoi confronti”.
4.5. La Corte di merito, pertanto, in sede di giudizio di rinvio sarà tenuta a pronunciarsi alla luce del suddetto principio di diritto.
5. Conclusivamente il ricorso è fondato, e pertanto, la Corte cassa la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese di questa fase.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, perchè decida anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018