Aggressione di un cane, nessun testimone: per il risarcimento vale la prova presuntiva
Una donna e il suo cane vengono aggrediti da un molosso; il cagnolino ha la peggio e muore, mentre la padrona riporta delle ferite ad una mano. Nessuno assiste al fatto e la polizia interviene successivamente all’accaduto. La donna agisce in giudizio contro la proprietaria dell’altro cane al fine di ottenere il risarcimento del danno: in primo grado la domanda è rigettata, mentre è accolta in sede di gravame. Il giudice d’appello, infatti, pur in assenza di testimoni, ritiene provata l’aggressione in base ad un ragionamento presuntivo, ossia in base al fatto che l’animale sia stato sottoposto ad un controllo obbligatorio in seguito all’accaduto.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5661 (testo in calce), ribadisce che la decisione del giudice può essere fondata anche su un ragionamento presuntivo, purché adeguatamente motivato. Nel caso di specie, la padrona del molosso colpevole dell’aggressione è stata destinataria di un provvedimento – che non ha impugnato – con cui le è stato ordinato di sottoporre il cane ad un controllo obbligatorio (art. 86 Regolamento di Polizia veterinaria) e il giudice ha fondato la propria decisione su tale provvedimento. Il soggetto che ricorra in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (in materia di presunzioni) deve allegare che il giudice di merito abbia fondato il proprio ragionamento su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Invece, la censura non può limitarsi alla diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
La vicenda
Una donna agisce in giudizio contro la proprietaria di un cane che ha aggredito il suo – cagionandone la morte – e le ha causato lesioni alla mano.
Nessuno assiste al fatto e la polizia interviene successivamente all’accaduto. In primo grado, la domanda attorea viene rigettata, mentre è accolta in sede di gravame, ove la convenuta è condannata al pagamento di circa settemila euro a titolo di risarcimento del danno.
Si giunge così in Cassazione.
Fatto ricostruito in base ad un ragionamento presuntivo
La sentenza gravata ha ricostruito l’accaduto sulla base di una testimonianza de relato (ossia non una testimonianza diretta del fatto) e su un provvedimento amministrativo. In particolare, si tratta del provvedimento emesso successivamente all’aggressione operata dal molosso verso il cagnolino dell’attrice, con cui viene ordinato alla proprietaria del primo di portare il cane ad un controllo. Infatti, il Regolamento di polizia veterinaria (art. 86 D.P.R. 320/1954) dispone che i cani e i gatti che abbiano morso persone siano sottoposti ad osservazione, anche domiciliare, qualora non presentino sintomi di rabbia.
In base al contenuto del suddetto provvedimento, la sentenza gravata ha ritenuto presuntivamente che la denunciata aggressione sia effettivamente avvenuta. La ricorrente non ha contestato efficacemente la decisione, non richiamando nel suo ricorso né l’art. 2729 c.c., in tema di presunzioni, né l’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova (Cass. 9054/2022).
Al contrario, la censura mossa contro la sentenza impugnata è diretta ad ottenere una diversa ricostruzione delle circostanze di fatto o una diversa “inferenza probabilistica” rispetto a quella operata dal giudice di merito.
Le presunzioni semplici e la valenza probatoria
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). Le presunzioni non stabilite dalla legge, ossia le presunzioni semplici (praesumptio hominis), sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale deve ammettere solo le presunzioni gravi, precise e concordanti (art. 2729 c. 1 c.c.).
La giurisprudenza (Cass. Ord. 9054/2022) ha così circoscritto i tre requisiti di cui sopra:
- la precisione è riferita al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica,
- la gravità riguarda il grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto,
- la concordanza – rilevante solo in caso di pluralità di elementi presuntivi – richiede che il fatto ignoto sia desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza.
Il giudice deve, in prima battuta, analizzare tutti gli elementi indiziari e scartare quelli irrilevanti e, successivamente, valutarli per verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva. A tal proposito, si parla di “convergenza del molteplice”, che non è raggiungibile nel caso di un’analisi dei singoli elementi considerati separatamente (analisi atomistica).
Il soggetto che ricorra in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. deve allegare che il giudice di merito abbia fondato il proprio ragionamento presuntivo su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza o abbia fondato la presunzione su un fatto storico non grave, preciso e concordante. Invece, la censura non può limitarsi alla diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
Conclusioni
La ricorrente non ha contestato adeguatamente il ragionamento presuntivo posto alla base della sentenza gravata e non ha spiegato i motivi della violazione della disposizione in materia di presunzioni.
Pertanto, il ricorso viene rigettato e la padrona del molosso è condannata al pagamento delle spese di lite per l’importo di 2.500 euro oltre oneri e alla corresponsione di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Credits Altalex.com